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2014 – June – Matter and its double – solo exhibition – André -Rome
La materia e il suo doppio – Matter and its double – Podwójność materii
Curated by Raffaella Salato
Critic: Carmen Capacchione ed Emanuele Ciccarelli
Exhibition organizer: Jan Kozaczuk
André arte moderna e contemporanea – Via Giulia 175, Rome
June 2014
LA MATERIA E IL SUO DOPPIO: VIAGGIO TRA I SENSI E LA COSCIENZA DI SE’
La materia come identità, il “doppio” come chiave di lettura: ecco gli strumenti attraverso i quali Marco Angelini propone nuovamente la sua arte al pubblico, primo fra tutti quello amato di Roma, la sua città, in una mostra che vuole essere al contempo una sintesi del percorso già battuto e l’avvio di un nuovo ciclo, di sperimentazione espressiva ma anche di vita.
Le opere esposte alla Galleria André – che ha già ospitato in passato una sua personale – sono in totale 32, anche se nella prima sala i 18 quadri più piccoli (18×24 cm.) sono assemblati quasi a formare un unicum, tant’è che nessuno di essi ha un titolo ed il tema della “coppia” che li caratterizza sfuma, a volte, in richiami anche tripli e quadrupli, talora solo evocati talora più evidenti.
Il rassemblement pare, peraltro, una soluzione artistica cara ad Angelini, che già nella mostra londinese del 2009, intitolata «Restful Turmoil» – di cui qui troviamo due opere “sorelle” – aveva sperimentato la creazione di più quadri in dialogo stretto fra di loro, sia per i materiali utilizzati sia per il soggetto che li anima.
Tuttavia, a differenza di quanto accadeva in quella prima esperienza sul suolo britannico, oggi l’accostamento dei dipinti non è predeterminato all’origine o premeditato: la specificità di questa mostra sta proprio, infatti, in questo contrasto tra casualità (forse solo apparente) ed armonia (oppure, all’opposto, dicotomia?), un contrasto suggestivo e straniante che è in parte voluto dall’autore ed in parte autoprodotto dall’interazione fra le opere l’una con l’altra e, in coppia, con il mondo circostante.
Ecco dunque che i quadri in esposizione, eseguiti in periodi diversi (spesso anche inediti) e con stili e tecniche variegati, sono presentati “due a due”, seguendo un fil rouge che ogni volta cambia, nascondendosi o svelandosi – casualità o predeterminazione? – ora nel materiale utilizzato, ora nella forma espressiva, ora nel colore, ora persino nella cornice (“l’involucro”, così come egli stesso lo definisce, è molto importante nell’arte di Marco Angelini).
Così, accanto alle opere accomunate dal tema del dripping (“sgocciolamento”) di Pollock – tecnica ripresa anche nell’action painting del pittore contemporaneo Goa, al secolo Fabrizio Sanna – ma apparentemente estranee l’una all’altra, o a quelle aventi un soggetto simile ma declinato in colori antitetici (argento/oro) oppure diversamente collocato nello spazio («Intimità» e «Distacco» – 2009), troviamo quadri che dialogano tra loro per ragioni che sfuggono all’intelletto ma si ravvisano nell’esperienza sensoriale, ed altri ancora che nascono accoppiati in quanto interpretazioni di una tematica specifica (il binomio «Arte e Scienza, Arte e Medicina» del Padiglione Italia nel Mondo alla 54ma Biennale di Venezia del 2011, ad esempio) secondo registri stilistici assai differenti tra loro. Il tutto, lontano dal rischio della serialità, banale e acritica, ma piuttosto ispirato al principio della specularità, che richiama/evoca senza replicare (non per niente, lo specchio ci restituisce la nostra immagine “al contrario”) e che innesca la dialettica senza dare nulla per assunto o concluso.
In questo processo di “sdoppiamento”, che è sempre dinamico – infatti Angelini, sociologo oltre che artista, sostiene che «ciò che veramente importa non è che lo spettatore veda nel quadro quello che io volevo rappresentare, bensì che ci veda qualcosa» – e, dunque, mai uguale a se stesso, l’elemento materiale è spesso decisivo, se non addirittura identitario. Ricordando in parte la poetica di Louise Nevelson, sospesa tra astrattismo e surrealismo, Marco Angelini utilizza per le sue creazioni supporti e materiali spesso di riciclo (polistirolo, cartone, plastica, alluminio, carta da parati), sui quali poi interviene – imprimendovi il proprio marchio distintivo – con pigmenti naturali, colle viniliche, inchiostro di china, arbusti essiccati, resina, spago, nastri di audiocassette… persino il «Crystalball» con cui giocava da bambino! (mostra «Silenzio gravido», Varsavia 2009). Il tutto, dominato dal colore, che sia esso il blu oltremare prediletto oppure il bianco abbacinante di tanti sfondi, passando per le tinte metalliche di grande impatto estetico o per lo squillante giallo, scoperto in tempi recentissimi durante un viaggio in India.
Raffaella Salato
‘MATTER AND ITS DOUBLE’:AN EMOTIONAL JOURNEY THROUGH SELF AWARENESS
Matter in the first place as an identity issue, the “double” as a key to the interpretation: these are the means by which Marco Angelini fulfills his art accessible to a public, first and foremost that of Rome, his beloved city, in a new exhibition at the same time is a granular synthesis of the road already traveled and the beginning of a new cycle of experimentation (including a personal lifestyle).
Out of a total of thirty-two artworks presented at the Galleria André – who in the past organized a solo exhibition by Angelini – eighteen small paintings (18×24 cm.) are assembled in the first hall almost forming a unicum, so neither of them has a title as well as the theme of “pairs” characterizes them on a clouding scene, even triple- or quadruple-glazed reminders sometimes, quite ununderstandable or else fairly clear.
The Galleria André’s rassemblement is meant to be partly an artistic solution dear to Angelini, as in the London exhibition of 2009 entitled “Restful Turmoil” – of which can be found here two ‘sisters’ artworks – where the artist converted firstly his creation of several paintings in close dialogue with each other, both in the materials used both in their soiling topic.
However, unlike what had happened in the London exhibition, today this juxtaposition of paintings is no predetermined neither premeditated: its peculiarity lies, in fact, in the contrast between randomness (perhaps only apparent) and harmony (or, conversely, a dichotomy?). Despite we could perceive, on a side, a stark and alienating contrast arises from the author himself, and, on the other, a mismatch is self-produced by the interaction between his artworks with one another and, in pairs, with the world around them.
The paintings exhibited are performed in different times (often unedited) and with various styles and techniques, so that they are presented “in pairs,” following an always changing red thread, hiding or revealing itself – coincidence or predetermination? – should they be sought in the material used, in its expression form, color, even in its context (the “casing”, as the same artist calls it, which plays a very important role in his artworks).
Thus, alongside artworks share the famous dripping by Pollock – a technique also agglomerated in the action painting by the contemporary painter Goa, born Fabrizio Sanna, – seemingly unrelated to each other or alongside those of a similar subject, which refuse themselves through antithetical colors (silver/gold) or otherwise displaced onto the material space (“Intimacy” and “Detachment” – 2009), there are also paintings tell to each other for reasons beyond the intellect can be appreciated only emotionally. Others are in pairs as interpretation of a specific topic (the combination of “Art and Science, Art and Medicine” of the Italian Pavilion in the World at the 54th Venice Biennale in 2011, as an example) according to very different stylistic registers. All of this, sheltered from an uncritically mimicry, rather inspired by a glazing principle, recall/evoke with no reply (not for nothing, the mirror gives us back our image “on the contrary”), and trigger the dialectics does not provide anything can be said fully completed.
In this continuous dynamical process of “splitting” – Angelini, also a sociologist before than an artist, utters “don’t think what really matters is what the viewer sees in the subject I wish to represent, rather that he sees something” – cannot be never equal to itself, a decisive material element rather, if this is not the true identity issue at stake. Recalling the poetic inspiration of Louise Nevelson, suspended between abstraction and surrealism, Marco Angelini features for his creations a variety of support and recyclable materials include polystyrene, cardboard, plastic, aluminum, wallpaper, on which he plays on – by transferring his own personal branding – with natural pigments, acrylic adhesives, ink, dry bushes, resins, strings, tapes… even the “Crystalball” children game he played long time ago! (see “A gravid Silence” 2009 exhibition in Warsaw). His colors background is mixed either with blue ultramarine or the dazzling white, his favorite one on many later artworks, through metallic shades of thriving aesthetic impact until to the clarion yellow spray, recently discovered on a journey to India.
Raffaella Salato
Translation by Romina Fucà
PODWÓJNOŚĆ MATERII: PODRÓŻ między zmysłami a świadomością samego siebie
Materia jako tożsamość, podwójność jako klucz do lektury: oto narzędzia, którymi posłużył się Marco Angelini, by po raz kolejny zaprezentować swoją sztukę publiczności. Jako pierwszej spośród wszystkich pokazał dzieła ukochanej publiczności w Rzymie, swoim mieście, na wystawie, która jest jednocześnie syntezą dotychczasowych dokonań i początkiem nowego cyklu, eksperymentalnej ekspresji, ale też życia.
W Galerii André – która w przeszłości gościła już inną wystawę indywidualną Angeliniego – znalazły się 32 dzieła, z których 18 mniejszych (18×24 cm), zgromadzonych w pierwszej sali, łączy się w jedno. Wrażenie unicum pogłębiają dodatkowo brak tytułów i zestawienie dzieł w pary zlewające się niekiedy w trójki, a nawet czwórki – czy to za sprawą skojarzeń, czy też bezpośrednich nawiązań.
Wydaje się, że rassemblement to jedno z ulubionych rozwiązań artystycznych Angeliniego. Zastosował je już na londyńskiej wystawie Restful Turmoil w roku 2009, łącząc kilka obrazów we wspólnym dialogu, opartym zarówno na podobieństwie użytych materiałów, jak i na jednakowej tematyce. Dwa z tych „bratnich” obrazów trafiły na wystawę w Rzymie.
W przeciwieństwie jednak do pierwszej, brytyjskiej próby rzymskie zestawienie dzieł nie było zaplanowane przed ich stworzeniem: cechą charakterystyczną tej wystawy jest kontrast między przypadkowością (być może jedynie pozorną) a harmonią (a może przeciwnie – dychotomią?). To kontrast niezwykle sugestywny, zadziwiający, zaistniały po części z woli autora, po części zaś – powstały samoistnie w wyniku interakcji obrazów w dwójkach, a także poszczególnych dwójek z otaczającym je światem.
Tak oto obrazy wykonane w różnych okresach (często wcześniej niewystawiane), w różnych stylach, różnymi technikami, zaprezentowane zostały „w parach” i złączone jednym fil rouge – za każdym razem zmieniającym swoje oblicze, ukrywającym się po to, by za chwilę znów się pojawić – przypadkowo czy też celowo? – raz w użytym materiale, raz w formie ekspresji, innym zaś razem w kolorze czy nawet ramie („opakowanie”, jak nazywa je sam Angelini, jest bardzo ważne w jego sztuce).
Część dzieł, na pozór obcych jedno wobec drugiego, jednoczy się wokół tematu drippingu („kapania”) Pollocka – techniki, którą wykorzystuje również współczesny malarz Goa, czyli Fabrizio Sanna, w action painting. Obok znalazły się prace przedstawiające ten sam temat, odmieniony jednak przeciwstawnymi barwami (srebro/złoto) lub innym rozmieszczeniem w przestrzeni (Intimità i Distacco – 2009). Odnajdujemy też obrazy, które połączyły we wspólnym dialogu racje wymykające się intelektowi, dające się poznać jedynie doświadczeniu zmysłowemu. I w końcu dzieła, które już w momencie powstawania połączone zostały w pary jako interpretacje szczególnych zagadnień, godząc zdecydowanie odmienne rejestry stylistyczne (podwójna nazwa Pawilonu Włochy na Świecie „Sztuka i Nauka, Sztuka i Medycyna” na 54. Biennale w Wenecji w 2011 roku). Całość, daleka od banalnej, bezkrytycznej seryjności, czerpie inspirację z zasady lustrzanego odbicia, które przypomina/przywołuje, ale nie odtwarza (nie bez przyczyny lustro odbija nasz wizerunek „na odwrót”), daje początek dialektyce i niczego nie uznaje za ostateczne lub skończone.
Proces „podwajania” jest zawsze dynamiczny, nigdy jednakowy – jak twierdzi Angelini, najpierw socjolog, a dopiero później artysta: „tak naprawdę liczy się nie to, żeby odbiorca zobaczył w obrazie to, co ja chciałem przedstawić, lecz żeby coś w nim zobaczył”. Często zatem decydujący, a nawet przesądzający o tożsamości, staje się element materialny. Nawiązując częściowo do stylu Louise’a Nevelsona, oscylującego między abstrakcją a surrealizmem, Marco Angelini często wykorzystuje materiały z recyklingu (styropian, karton, plastik, aluminium, tapety), na których pozostawia swój znak rozpoznawczy naniesiony za pomocą naturalnych pigmentów, klejów winylowych, tuszy pigmentowych, suchych gałązek, żywicy, sznurka, taśm magnetofonowych… a nawet Crystalball, którym bawił się jako dziecko! (patrz wystawa Brzemienne milczenie, Warszawa 2009).
Nad wszystkim dominuje zaś kolor: od ukochanej ultramaryny, przez oślepiającą biel o wielu odcieniach, aż po metaliczne barwy o silnym oddziaływaniu estetycznym i krzyczącą żółć, odkrytą podczas niedawnej podróży do Indii.
Raffaella Salato
Tłumaczenie: Katarzyna Foremniak
LA MATERIA E IL SUO DOPPIO
Doppio: che si compone di due elementi, o di due parti, uguali o anche diverse (Treccani).
Come un autoritratto, dove l’artista riproduce se stesso ma nel momento in cui l’immagine si palesa sulla tela l’io diviene altro da sé.
Come il proprio riflesso nello specchio, che è simile all’io ma allo stesso tempo differente perché duplice.
E ancora come la mente e l’anima, che componenti di uno stesso uomo convivono in esso a volte in armonia ed altre in contrasto.
Così le opere di Marco Angelini si presentano doppie, simili per alcuni aspetti e differenti per altri. Dialogano tra loro per dimensione, tecnica e gamma cromatica, ma ognuna raccoglie nel proprio perimetro un mondo capace di esistere separato.
L’artista fa convivere sulle tele colori acrilici con elementi afferenti alla vita quotidiana, quali nastri di musicassette o giochi dell’infanzia come il crystalball, tendendo verso un astratto in cui nulla è casuale, anzi ogni scelta è ponderata e ragionata. Dalla dimensione dell’opera all’accostamento cromatico, dalla posizione degli elementi alla colatura del colore, evidente omaggio al dripping di Jackson Pollock, ogni azione è meditata dall’artista che segue il processo dall’ideazione sino alla messa in atto.
E in tale procedimento può accadere che due tele colloquino tra loro, esprimendo lo stesso concetto e suscitando nello spettatore un’associazione visiva immediata, riconoscendo in ogni opera però la sua specificità.
Carmen Capacchione
Double: made of two parts that are similar or exactly the same; also, having two very different parts or qualities (Treccani).
In this mostly self-portraiture Marco Angelini traces his own history where the artist reproduces on the canvas his insideness, and simultaneously reveals his own outer image, so as it looks the oneself become otherness.
His artwork unlocks much of his oneself to be reflected in the mirror, but this fascinating similarity is also blinkered approaching a twofold self-discovery.
Artform again like mind & soul, the basic components of the emotive man living sometimes in accordance with himself, other times in irreversible conflict.
In some ways, Marco Angelini puts at issue artworks emerging as double, and reflects them into the light of a reflective consciousness is similar in some respects but different in others. The artist sets features talking to one another in sizes, techniques and colors’ gamut, although its goal is indeed to convince its reader of a world can be let apart.
Angelini makes to coexist acrylic’s colours on the canvas with elements belonging to day-to-day life, such as recording tapes, or childhood toys; certainly, his influence is akin to an abstract in which nothing is randomly sought, since every selection is weighted and carefully featured. From the artworks’ size to their colors’ gamut, from the elements’ setting to the colours straining, accurate tribute to Jackson Pollock’s dripping technique, every action is willingly mediated by the artist to shed light on the complex process from the visual apperception to the recognition in place.
However, during this experience, it may happen two paintings are dialectically confronted each other, indicating the same exploring notion, to engender in the viewer a prompt visual association, and again recognizing in each artwork its own specificity.
Carmen Capacchione
Translation by Romina Fucà
PODWÓJNOŚĆ MATERII
Podwójny – złożony z dwóch elementów lub dwóch części, jednakowych bądź różnych (Słownik Treccani).
Tak jak autoportret, na którym z chwilą, gdy podobizna artysty zaczyna rysować się na płótnie, przedstawione ja staje się czym innym niż właściwe jestestwo.
Tak jak własne odbicie w lustrze – podobne do ja, które się w nim przegląda, a jednocześnie inne, bo podwojone.
I wreszcie tak jak umysł i dusza, które raz współistnieją w człowieku w harmonii, innym zaś razem pozostają w opozycji.
W ten sam sposób dzieła Marco Angeliniego okazują się podwójne, podobne do siebie pod wieloma względami, a jednocześnie różne. Łączą je wymiary, technika, paleta barw, ale każde zamyka w sobie świat, który może istnieć samodzielnie.
Artysta zestawia na jednym płótnie farby akrylowe z przedmiotami z życia codziennego: taśmami magnetofonowymi czy zabawkami dziecięcymi, jak Crystal Ball, dążąc w ten sposób do abstrakcji, w której nic nie dzieje się przypadkowo, wręcz przeciwnie – każdy wybór jest rozważny i przemyślany. Od rozmiarów dzieła po zestawienie kolorów, od kompozycji po technikę nakładania farby, wyraźnie nawiązującej do drippingu Jacksona Pollocka, każde posunięcie zostało zaplanowane przez artystę, który czuwa nad swoim dziełem od projektu aż po jego realizację.
Zdarzyć się może w tak przeprowadzonym procesie twórczym, że dwa płótna nawiązują ze sobą dialog, wyrażają tę samą myśl i wzbudzają w odbiorcy te same skojarzenia, zachowując przy tym jednak każde swoją odrębną specyfikę.
Carmen Capacchione
Tłumaczenie: Katarzyna Foremniak
LA MATERIA E IL SUO DOPPIO:
Identità e forma nell’opera di Marco Angelini
L’artista Marco Angelini presenta alla galleria André di Roma il suo nuovo ciclo di opere incentrate sul tema del doppio. Un ciclo dalla composizione varia ed eterogenea dal momento che raccoglie opere eseguite in diversi periodi e con differenti stili, tecniche e materiali.
Si tratta in totale di 14 quadri di varie dimensioni e di altri 18 dipinti più piccoli (18x24cm): tutte le opere vengono presentate in coppia a formare una variegata costellazione di “doppi”.
La tematica del doppio si riallaccia in qualche modo, almeno idealmente, alla ricerca che Marco Angelini ha compiuto negli ultimi anni attorno all’estetica Pop, con le sue immagini seriali e i suoi loop iconici. E tuttavia, in quest’ultima collezione proprio l’idea della serialità si fa più minimale tanto da ridursi alla specularità. Ma la rottura più grande sta nel fatto che le coppie di opere presentate non appaiono visibilmente come dei “doppi” (se non nelle dimensioni delle superfici di supporto), ciascuna di esse però richiama la sua opera “sorella” con echi fatti di riflessi e somiglianze, sconfinamenti e progressioni, fughe e variazioni in un intreccio che va al di là della mera ripetizione per tentare una forma di specularità ben più estrema e complessa. Diremo che ciascuna opera si riflette nel suo doppio come in uno specchio, ma uno specchio concavo, che ne distorce e sfigura gli elementi formali, creandone di nuovi, somiglianti eppure differenti, familiari e al contempo stranianti.
In sintesi, il tema del doppio viene sviluppato a partire dall’idea che l’identità dell’oggetto rappresentato non sia qualcosa di dato una volta per tutte, quanto piuttosto un processo generativo sempre in divenire che risente del tempo, dello spazio, della materia e delle sue trasformazioni.
Lo “sdoppiare” dunque deve qui essere inteso da un lato come una rinuncia a mostrare l’oggetto in sé come qualcosa di concluso o finito e dall’altro come uno spostamento angolare di prospettiva che -biforcandosi in un doppio punto di fuga – permette di avvicinarsi alla struttura dell’oggetto stesso attraverso un movimento nuovo e che genera differenze.
Il ruolo che l’elemento materiale gioca in questo processo è decisivo, tanto che è come se l’identità dell’oggetto si risolvesse, infine, nella materia stessa: in quel suo sinuoso o frastagliato equilibrio degli elementi che la compongono; in quel suo stratificarsi e sedimentarsi di coaguli e incerte tracce; in quel suo tendere – radicato e sospeso – verso la forma (il senso).
L’arte ripete la realtà per scavarla e manifestarla in una forma più reale di quella alla quale siamo abituati a guardarla. In questo senso Klee diceva che “l’arte non riproduce le cose visibili ma rende visibile”, ossia fa emergere da esse un’alterità sostanziale e decisiva. In una parola, ciò che l’opera d’arte porta con sé è una vera e propria emergenza (nella sua duplice accezione) di senso e di identità che tuttavia si rivela unicamente attraverso la materia, la forma, il colore.
Nei lavori che compongono questo ciclo di Marco Angelini si può chiaramente osservare come il rapporto tra materia e identità, con tale cogenza e carica significante, sia mediato dalla potenza del doppio: opere in cui l’oggetto rappresentato è sempre “eccedente” rispetto alla superficie – parte di un equilibrio più vasto – e in cui la contaminazione di materiali e pigmenti tra loro tanto eterogenei rimanda anch’essa all’idea di costituire l’identità attraverso elementi di alterità.
Un’ultima nota riguarda la coppia di opere intitolate Identità 1 e Identità 2. Si tratta di due quadri caratterizzati da una forma rettangolare, stretta e allungata orizzontalmente, che riporta come unico soggetto una figura antropomorfa, aggrovigliata o sospesa in una ragnatela di nastri magnetici e adagiata su uno sfondo amorfo.
Tanto le particolari dimensioni delle superfici quanto il soggetto rappresentato, fanno venire alla memoria il Cristo morto nella tomba del fiammingo Hans Holbein il Giovane (opera risalente al 1521) e molto cara a Dostoevskij (che proprio a questo quadro dedica alcuni ispirati passaggi del suo romanzo L’idiota). A confrontarli si ha l’impressione che Identità 1 e Identità 2 siano quasi dei negativi fotografici dell’originale fiammingo. Ma là dove Holbein rappresentava l’estrema sfigurazione del Cristo vinto dalla morte, nell’opera di Marco Angelini quel processo di s-figurazione è portato ancora oltre, in una direzione che per certi versi ricorda l’ultimo Andy Warhol e i suoi straordinari studi sul cenacolo di Leonardo da Vinci (The last supper, 1986).
Ecco quindi che in queste due opere di Marco Angelini l’uomo perde ogni connotato figurativo per divenire puro elemento materiale; e la sua stessa unità e individualità è messa in crisi, nel raddoppiamento speculare della rappresentazione. Davvero qui si mostrano i segni di un’identità spezzata, sospesa, sfigurata e insieme ricomposta e ricreata: specchi di un’alterità che emerge e si ritrae, icone nude e terrene.
Emanuele Ciccarelli
MATTER AND ITS DOUBLE’: ARTFORM & IDENTITY BY MARCO ANGELINI
Marco Angelini produces a new series of artworks for the Gallery André in Rome, to explore the theme of the double. This new series displays a multifaceted heterogeneous collection is made up of different styles, techniques, materials, also execution periods. A set of fourteen paintings of different sizes and eighteen other smaller paintings (from 18x24cm) are collected in “pairs”, to show a varied constellation of “doubles”.
Double is related in some way, at least ideally, to the search Marco Angelini recently did on the Pop aesthetic together with its sequential images and iconic loops. However, in this collection, the true idea of connectivity is condensed on a bare minimum akin to visual mirroring. The forceful discontinuance with the previous experience of the artist shows the coupled works cannot be understood as “double” (if not in the support surface); each of them, on the contrary, asks her “coupled” work of echoes consisting of reflections and similarities, intrusion and progress. Then, differences and transformations go to a direction beyond the simple duplication, so as to experiment the form into a more extreme and complex mirror. It can be said each work is reflected on its coupled as into the mirror, but one that is concave, because of the distortion of the formal elements, creating newness, difference, and, yet, similarity, familiarity, at the same way, an alienation of time.
Gradually, the theme of the double involves a dual idea of the objects’ identity who is either not something given once and for all, rather a generative process that occurs between time, space, matter and their transformations.
The “double” must therefore be understood here as an abdication, on the one hand, to show the object itself as something already done or completed, and, on the other, it is brought to an extreme in the angular displacement of a perspective – divided into a double vanishing point – allows to address the structure of the object itself with a newly generating difference movement.
The material role played during this process is thus crucial, in how the identity of the object is to be resolved to this order onto the matter itself: it sheds light on an internalized balance of elements: reified blood clots and uneven strands of life among footsteps of uncertainty, with a hidden purpose – rooted and rarefied – toward the form (the meaning).
The art repeats a reality more real than that to which we are accustomed. On this subject, Klee said “Art does not reproduce the visible; rather, it makes visible,” because it talks out a substantial and decisive otherness. In a word, what the artist brings with himself is a true emergency (in its double meaning) of sense and identity; hence, this is revealed by matter, shape and colour.
In the works are part of this new series by Angelini, we can clearly identify how the relation between matter and identity, together with its significant cogency, is led by supremacy of the double: works in which the represented object is always “overwhelmed” if compared to its size – part of a broader tension – and where the contamination of materials and pigments each other also mismatched refers back to the idea of an identity’s establishing through diverseness.
One note is finally required for the couple of artworks entitled Identity 1 and Identity 2. Both paintings are characterized by a narrow rectangular and horizontally elongated shape, where the centrally exclusive subject is an anthropomorphic figure, suspended and entangled onto a net of videotapes, and layered in a landscape amorphous and colours-washed. Here the art-focus by Angelini is every human being loses his/her figurative meaning, becoming an element of pure materiality: in fact, uniqueness and unity are in danger because of the doubling mirror of the representation; only a broken identity, also suspended, disfigured and risen together, is able to reflect an otherness emerging and receding, also bare and temporary icon of our dark times.
A relevant dimensioning of these two particular representations appears then to look as a reminiscence of The Body of theDead Christ in the Tomb by the Flemish artist Hans Holbein the Younger (a very famous painting dating back to 1521), which was loved by Dostoevsky (who devoted to this painting some excerpts by his novel The Idiot). By comparison, you can feel Identity 1 and Identity 2 are negatives of the famous Flemish painting. So far as Holbein in his famous painting represents figuratively the extreme suffering of the death of Christ, Marco Angelini introduces in his artworks this theme in such a way the process of de-figuration is driven beyond, recalling sometime the last Andy Warhol and his extraordinary experiments on the Cenacle of Leonardo da Vinci (The Last Supper, 1986).
Emanuele Ciccarelli
Translation by Romina Fucà
PODWÓJNOŚĆ MATERII:
TOŻSAMOŚĆ I FORMA W DZIEŁACH MARCO ANGELINIEGO
Artysta Marco Angelini przedstawia w galerii André w Rzymie swoje nowe dzieła skupione na temacie podwójności. To cykl o niejednorodnej kompozycji, gromadzący prace z kilku okresów, wykonane w różnych stylach, odmiennymi technikami i z wykorzystaniem rozmaitych materiałów.
Składa się nań 14 obrazów o różnych rozmiarach oraz 18 mniejszych prac (18×24 cm): dzieła zaprezentowane zostały w parach tak, by stworzyć konstelację „dwójek”.
Temat podwójności łączy się – przynajmniej pod względem założeń teoretycznych – z zainteresowaniem Marco Angeliniego estetyką Pop, której artysta poświęcił ostatnie lata swojej pracy twórczej. Nawiązuje do obrazów układających się w serie i do ikonicznych loopów. W najnowszej kolekcji idea seryjności zostaje sprowadzona do minimum, zredukowana do symetrii lustrzanego odbicia. Jednak największa zmiana polega na tym, że zaprezentowane na wystawie pary na pierwszy rzut oka nie przywodzą na myśl podwójności (poza może tylko jednakowymi rozmiarami podłoża, na którym zostały wykonane). Każde przywołuje jednak swój „bratni” obraz echem refleksów i podobieństw, przekraczaniem granic i nieustannym rozwojem, uciekaniem i zmiennością. Połączone tworzą mocny splot, który daleki jest od zwykłego powtórzenia i dąży do ekstremalnej, bardziej złożonej formy lustrzanego odbicia.
Najkrócej mówiąc, punktem wyjścia takiej interpretacji jest przekonanie, że tożsamość ukazanego na obrazie przedmiotu to nie tyle wartość dana raz na zawsze, ile proces tworzenia i przeobrażania, uzależniony od czasu, przestrzeni, materii oraz jej transformacji.
Podwajanie należy zatem rozumieć z jednej strony jako rezygnację z ukazywania przedmiotu samego w sobie, skończonego i zamkniętego, z drugiej zaś jako przesunięcie kąta perspektywy, które podwajając punkt zbiegu, pozwala zbliżyć się do struktury samego przedmiotu przez ruch – nowy i generujący różnice.
Rola, jaką element materialny odgrywa w tym procesie, okazuje się decydująca: zdaje się, że tożsamość przedmiotu wręcz rozpuszcza się w samej materii, w chwiejnej, postrzępionej równowadze elementów, które ją tworzą; w nawarstwianiu i osadzaniu się cząstek i niejasnych śladów; w dążeniu – jednocześnie zakorzenionym i niepewnym – do formy (sensu).
Sztuka powtarza rzeczywistość po to, by ją wyrzeźbić i ukazać w nowym kształcie, bardziej rzeczywistym niż ten, w którym przywykliśmy ją oglądać. To właśnie miał na myśli Klee, twierdząc, że „sztuka nie odtwarza rzeczy widzialnych, lecz czyni je widzialnymi”, a zatem sprawia, że powstaje w nich substancjalna, rozstrzygająca odmienność. Słowem – to, co przynosi nam dzieło sztuki, to prawdziwe powstanie (w obu znaczeniach tego słowa). To powstanie sensu i tożsamości, które ujawniają się wspólnie już w jednoznaczny sposób poprzez materię, kształt i barwę.
W pracach tworzących najnowszy cykl Marco Angeliniego wyraźnie zaobserwować można, jak związek materii i tożsamości – z nieuchronną stanowczością i ogromnym ładunkiem znaczeniowym – warunkowany jest przez podwójną siłę. Ukazywany przedmiot zawsze „wykracza” poza powierzchnię – będącą częścią większej harmonijnej całości. Kontaminacja materiałów i pigmentów, tak zaskakująco różnorodnych, po raz kolejny odsyła natomiast do idei budowania tożsamości w oparciu o odmienność tworzących ją elementów.
Ostatnie spostrzeżenie dotyczy pary obrazów zatytułowanych Tożsamość 1 i Tożsamość 2. Mają one kształt poziomych, wąskich i wydłużonych prostokątów, a jedynym elementem, który się na nich pojawia, jest antropomorficzna figura, zaplątana czy też zawieszona w pajęczynie taśm magnetycznych, umieszczona na amorficznym tle.
Zarówno szczególne wymiary prac, jak i przedstawiona na nich postać, przywodzą na myśl dzieło Flamandczyka Hansa Holbeina młodszego Chrystus w grobie (1521), które zrobiło ogromne wrażenie na Dostojewskim (to właśnie ten obraz opisany został w kilku ważnych ustępach Idioty). Jeśli zestawimy dzieło z Tożsamością 1 i Tożsamością 2, obrazy Angeliniego będą przypominały negatywy fotograficzne flamandzkiego oryginału. Jednak tam, gdzie Holbein przedstawił zdeformowane ciało Chrystusa pokonanego przez śmierć, Marco Angelini posuwa się jeszcze dalej – jego de-formowanie podąża w kierunku ostatniego okresu twórczości Andy’ego Warhola i wykonanych przez niego niezwykłych studiów Ostatniej wieczerzy Leonarda da Vinci (Ostatnia wieczerza, 1986).
Postać ludzka traci zatem u Angeliniego wszelkie znamiona figuratywności i sprowadzona zostaje do czystej materii; w lustrzanym podwojeniu zagrożone są jedność i indywidualność człowieka. To właśnie tu naprawdę widoczne stają się oznaki rozbitej na kawałki tożsamości – pozostającej w zawieszeniu i zdeformowanej, jednocześnie dekomponowanej i odbudowywanej. To lustrzana odmienność, która powstaje i czyni krok ku wieczności, to nagie, ziemskie ikony.
Emanuele Ciccarelli
Tłumaczenie: Katarzyna Foremniak