
- Spazio del sacro, ecologia integrale
- Vita e Forma
- fenomenologia dell’arte contemporanea / transizione energetica
- transizione ecologica / economia circolare
- Sublimazione – 2021
- Rhizomes – cm 30×30 – 2021
- Longo – 2022 / 2023
- photovoltaic cells cycle – 2021 – cm 90×70
- Razor Blade cycle – 2020 – 2021
DICHOTOMIA – DICHOTOMY 2017
Reviews
Lento è buono!
«Pierre Bonnard fu il pittore che tradusse in maniera straordinaria l’interesse degli Impressionisti per l’atmosfera in una preoccupazione per la memoria che ancora oggi pervade molta pittura figurativa. Nei suoi dipinti tardi, dagli anni Dieci fino alla sua morte avvenuta nel 1947,
[ Read more ]Lento è buono!
«Pierre Bonnard fu il pittore che tradusse in maniera straordinaria l’interesse degli Impressionisti per l’atmosfera in una preoccupazione per la memoria che ancora oggi pervade molta pittura figurativa. Nei suoi dipinti tardi, dagli anni Dieci fino alla sua morte avvenuta nel 1947, Bonnard sceglieva momenti fuggevoli della sua esperienza personale e rimuginava a lungo sul loro potenziale, arricchendo progressivamente i colori fin quando essi non diventavano dipinti che rappresentavano l’intera durata della sua vita. “Lento è buono”: così i pittori hanno interpretato il lavoro di Bonnard e, in quanto giustificazione per il protrarsi delle loro realizzazioni, la massima è diventata tanto più attraente quanto più il ritmo degli altri media basati sulle immagini si è accelerato» (Da Julian Bell, Che cos’è la pittura?, Einaudi, 2018).
Pierre Bonnard dipinse dunque l’aria, l’eterno ritorno del pennello che sfiora la tela come gesto ossessivo che consuma il tempo, che lo combatte, che torna costantemente ad ingannarlo. Analogamente a Bonnard Angelini è ossessionato dal tempo, dal quotidiano, anche dal più fugace attimo, che contribuisce a raccontare la storia di oggetti-feticcio, proprio come accadde alla vasca di Pierre. Che cos’è la pittura se non l’illusione di rendere eterno un attimo intrappolandolo nel colore? L’arte tutta è un bell’inganno, il più bello di tutti, che si esplica massimamente nel “vecchio mostro sacro da distruggere”, la pittura appunto: non esiste niente di più ossessivo, di magicamente ripetitivo e reiterato dell’atto del dipingere, dipingere è un’urgenza, un monito, un efficace metodo per ingannare il tempo, necessario all’artista tanto quanto allo spettatore. Quest’ultima immagine con facilità ci richiama alla mente una scena del capolavoro del cineasta svedese Ingmar Bergman, Il settimo sigillo, nella quale lo scudiero Jöns dialoga con un pittore:
- Che cosa dipingi?
- La danza della morte
- E quella è la morte?
– Si, che prima o poi danza con tutti
- Che argomento triste hai scelto…
- Voglio ricordare alla gente che tutti quanti dobbiamo morire
- Non servirà a rallegrarla…
- E chi ha detto che ho intenzione di rallegrare la gente? Che guardino e piangano
- Aaah, invece di guardare chiuderanno gli occhi…
- Io ti dico che li apriranno…Un teschio, spesso interessa molto di più di una donna nuda
- Se li spaventi però…
- …Li fai pensare
- E se pensano...
- Si spaventano ancora di più
Il pittore si trova dunque a vivere la perenne dicotomia tra il dipingere una macabra realtà e al tempo stesso tentare d’ingannarla, di fermarla fissandola sulla tela. Il gesto lento, ripetuto, ossessivamente reiterato, aiuta a contrastare, seppur idealmente, il processo che consuma l’esistenza, il senechiano conto alla rovescia verso la morte. Ognuno di noi vive come Antonius Block, il cavaliere che gioca a scacchi la sua partita con la morte: l’arte come pittura ci supporta e ci guida, ferisce con la verità, lenisce con il sogno.
Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci
[ Read less ]Marco Angelini struttura un sistema di passaggi e paesaggi identitari che si risolvono in materie e sembianze attraverso un linguaggio che persegue un apparente ordine interiore. Sono paesaggi che contengono paesaggi, che si
[ Read more ]Marco Angelini struttura un sistema di passaggi e paesaggi identitari che si risolvono in materie e sembianze attraverso un linguaggio che persegue un apparente ordine interiore. Sono paesaggi che contengono paesaggi, che si palesano mano a mano che li si percorre e si fanno animatamente processi determinati dal tempo e dal movimento, in una condizione di trasformazione incessante. Sono paesaggi di rivelazione dove, sempre o solo per un attimo, ognuno può iniziare un percorso di riconoscimento verso un infinitamente oltre il proprio essere come individuo, approdando in una sponda scoscesa ed inedita. [...]
Nelle tre opere, Senza Titolo, Diade e Dicotomia in giallo, l’artista non attiva una memoria passiva ma, attraverso un dispositivo simile a quello del test di Rorschach, fa emergere una memoria che costruisce, seleziona, trasforma, che apre la continuità del futuro (cit. U. Galimberti); ogni immagine innesca, così, l’insieme delle diverse memorie, semantica, episodica, visiva, procedurale, verbale e autobiografica, che fa di noi un ricordo incarnato (cit. M. A. Brandimonte); fissa punti di riferimento spaziali e temporali che permettono di confrontare i ricordi, generare una memoria collettiva ed un’identità che diventa tale in base all’esperienza vissuta e ricordata.
Roberta Melasecca
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DICOTOMIA
1. Dicotomia in giallo, 159x130 cm, tecnica mista su tela, 2017
2. Memoria specchiata, cm 129x104, tecnica mista su tela, 2017
3. Diade, 128x145 cm, tecnica mista su tela, 2017
4. Utero fucsia, cm 142x129, tecnica mista su tela, 2017
5. Opposti convergenti, cm 25x20, tecnica mista su tela, 2017
6. Confine fluido, cm 25x20, tecnica mista su tela, 2017
7. Terzo includente, cm 25x20, tecnica mista su tela, 2017
8. Terzo trasversale, Mare nero, cm 25x20, tecnica mista su tela, 2017
Con la serie Dicotomia affronto il tema della divisione, della contrapposizione e della necessità di distinguere. La dicotomia, infatti, è uno dei modi fondamentali con cui interpretiamo la realtà: separiamo, categorizziamo, mettiamo in relazione opposti che spesso si rivelano complementari.
È un meccanismo che appartiene al nostro pensiero e che allo stesso tempo può condizionarlo, creando linee di confine, ma anche possibilità di dialogo tra ciò che appare diverso o inconciliabile.
In queste opere ho cercato di tradurre questa tensione in immagini che non raccontano una verità unica, ma che aprono possibilità di lettura molteplici.
Non cerco mai una risposta definitiva, ma piuttosto un campo aperto in cui materia e colore diventano strumenti per generare riflessioni.
Il colore agisce come forza autonoma, creando risonanze e contrasti che sottolineano la natura duale delle opere.
Il concetto di dicotomia non lo intendo come semplice separazione, ma come condizione dinamica: due poli che si attraggono e si respingono, che si cercano e si riflettono.
È in questo spazio intermedio che si apre la possibilità dell’interpretazione.
Lo spettatore, osservando i quadri, è chiamato a riconoscere legami, a costruire connessioni personali, a interrogarsi sul senso di ciò che vede.
Ogni immagine diventa così uno specchio che rimanda non solo al mio gesto artistico, ma anche all’esperienza e alla memoria di chi la guarda.
Nelle tre opere Utero fucsia, Diade e Dicotomia in giallo, attivo un processo che richiama, in parte, quello dei test di Rorschach: un dispositivo che fa emergere una memoria viva, che costruisce, seleziona e trasforma.
Utero fucsia apre a un’immagine libera, volutamente non definita ma che vagamente ricorda la rappresentazione astratta dell’utero e della vagina e che lascia spazio alla proiezione individuale. Diade mette al centro la coppia, l’incontro-scontro tra due entità che si equilibrano o si contraddicono. Dicotomia in giallo lavora invece sulla forza del colore come campo di tensione, capace di evocare energia e allo stesso tempo fragilità e ricorda una scena di vita che si riattiva su uno specchio d’acqua.
Con questa serie ho voluto proporre un percorso che non si limita a fissare un concetto astratto, ma che diventa esperienza visiva e mentale. La dicotomia, così, non è solo separazione, ma possibilità: un invito a confrontarsi con i propri opposti interiori, a cercare nell’arte uno spazio di riflessione e trasformazione.
Guardando a posteriori il mio lavoro, mi accorgo che la dicotomia non riguarda solo il contenuto delle opere, ma anche il mio modo di procedere: da un lato la razionalità del sociologo che osserva, analizza e struttura; dall’altro l’istinto dell’artista che lascia spazio all’imprevisto, al gesto, alla materia che prende vita da sola. Questa tensione tra ordine e caos, tra progettualità e caso, diventa parte integrante della mia ricerca.
Con Dicotomia desidero offrire non una risposta, ma uno spazio aperto di confronto. Ogni opera è uno specchio che non restituisce mai un’immagine identica: rimanda piuttosto alla molteplicità delle memorie, delle percezioni, delle esperienze di chi osserva. Per me l’arte non deve chiudere, ma aprire: deve offrire la possibilità di riconoscere i propri opposti interiori e di trasformarli in un cammino di consapevolezza.
Marco Angelini
TITOLI E BREVE DESCRIZIONE DELLE OPERE
Dicotomia in giallo (159x130 cm)
Il giallo diventa campo di tensione: luminoso e vitale, ma anche fragile. L’opera evoca una scena riflessa sull’acqua, dove energia e instabilità si intrecciano in un equilibrio precario.
Memoria specchiata (129x104 cm)
L’immagine si offre come superficie riflettente: non restituisce mai lo stesso volto, ma accoglie le proiezioni di chi guarda, trasformando la memoria individuale in esperienza condivisa.
Diade (128x145 cm)
Due entità si fronteggiano e si cercano, in un rapporto di attrazione e opposizione. L’opera mette in scena la coppia come tensione vitale tra equilibrio e conflitto.
Utero fucsia (142x129 cm)
Una forma aperta e indefinita richiama simbolicamente l’utero. Il colore fucsia, intenso e vitale, trasforma l’immagine in uno spazio di nascita, energia e possibilità.
Opposti convergenti (25x20 cm)
Polo e contro-polo si attraggono generando nuove forme di dialogo. L’opera racconta la forza creativa che può nascere dall’incontro tra differenze.
Confine fluido (25x20 cm)
Una linea sottile divide e allo stesso tempo unisce. L’opera suggerisce l’idea di separazione instabile, una soglia permeabile che invita al passaggio.
Terzo includente (25x20 cm)
Oltre la coppia, emerge un terzo elemento che non esclude ma abbraccia. L’opera allude a una dimensione capace di accogliere differenze, superando il dualismo.
Terzo trasversale, Mare nero (25x20 cm)
Un’immersione in profondità oscure. Il mare nero diventa metafora di viaggio interiore, rischio e trasformazione.
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