La serie Visioni di Marco Angelini, realizzata con tecnica mista su tela (40×40 cm), si inscrive in quel percorso poetico e concettuale che da sempre caratterizza la sua ricerca: un’indagine sull’alterità, sull’incontro
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La serie Visioni di Marco Angelini, realizzata con tecnica mista su tela (40x40 cm), si inscrive in quel percorso poetico e concettuale che da sempre caratterizza la sua ricerca: un’indagine sull’alterità, sull’incontro con l’altro, sulla percezione del mondo come insieme di differenze irriducibili eppure in continua relazione.
Angelini pone l’accento sull’altro come realtà diversa e in parte inconoscibile, un’entità che non si lascia mai afferrare del tutto. Questa dimensione filosofica si traduce nel suo lavoro attraverso il colore: una materia viva che oscilla tra tonalità stabili e riconoscibili – come il giallo primario, il blu oltremare o il verde islam – che diventano punti di riferimento, quasi coordinate identitarie del suo linguaggio, e sfumature ottenute manualmente, frutto di miscelazioni uniche e difficili da replicare.
Questa tensione tra permanenza e mutamento riflette il senso stesso della differenza: da un lato la necessità di radici, dall’altro l’apertura all’imprevisto.
In Visioni il colore diventa dunque testimonianza di viaggi interiori ed esterni, di sguardi raccolti nel tempo e nello spazio, di incontri trasformati in luce e materia pittorica.
Non è la fedeltà alla forma a guidare l’opera, ma la ricerca di una vibrazione interna capace di restituire l’impressione di un’esperienza. Così i blu, i rossi, i verdi, nelle loro variazioni sottili, evocano paesaggi mentali e memorie sensoriali, creando una sorta di atlante cromatico personale, che però si offre a chi guarda come spazio aperto, in cui riconoscere e proiettare la propria esperienza.
La specificità delle differenze, che l’artista sottolinea nella sua pratica, non è soltanto un tema concettuale, ma anche un metodo: nella coesistenza di colori ricorrenti e sfumature uniche si manifesta la singolarità che ogni individuo, ogni incontro, ogni luogo porta con sé.
In questo senso Visioni è un lavoro che, pur partendo da una dimensione intima e autobiografica, assume una valenza universale, invitando lo spettatore a confrontarsi con la pluralità del reale, con ciò che sfugge e continuamente si trasforma.
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Le due opere geometriche intitolate “Ritmi circolari” e “Costellazioni interiori”
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Le due opere geometriche intitolate “Ritmi circolari” e “Costellazioni interiori” si distinguono per i segni tondi, seriali, regolari. Ho trovato dei titoli che richiamano armonia, ritmo, energia positiva e ciclicità, mantenendo coerenza con la serie Visioni. Ritmi Circolari mette in risalto il carattere seriale e musicale delle forme. Costellazioni Interiori apre a un’immagine cosmica e luminosa, evitando qualsiasi connotazione negativa.
Marco Angelini
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Casba d’Algeri (2019), tecnica mista su tela, 40×40 cm, nasce come un’intuizione sensoriale prima ancora che visiva: mi sono lasciato guidare dagli odori speziati, dalle cromie vive e polverose della città,
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Casba d’Algeri (2019), tecnica mista su tela, 40x40 cm, nasce come un’intuizione sensoriale prima ancora che visiva: mi sono lasciato guidare dagli odori speziati, dalle cromie vive e polverose della città, traducendo queste percezioni in una struttura pittorica inizialmente minimale. Successivamente, la composizione si amplifica in un reticolo fitto, un tessuto astratto che evoca la trama labirintica della Casba, cuore storico e fortificato di Algeri.
L’opera non si limita a una rappresentazione descrittiva del luogo, ma ne restituisce l’anima nascosta: la compresenza di stratificazioni, percorsi invisibili e memorie sedimentate nelle pietre e nelle vie. La scelta del formato quadrato accentua la dimensione di mappa, mentre l’intreccio segnico e cromatico diventa un campo di tensioni tra ordine e organicità, tra architettura e vissuto quotidiano.
Esponendo Casba d’Algeri al Bastion 23 – edificio simbolico, ponte tra il mare e la città antica – l’opera si pone come riflessione poetica sulla possibilità dell’arte di tradurre lo spazio urbano in un linguaggio universale, in cui la memoria dei luoghi si trasfigura in ritmo e astrazione.
Marco Angelini
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L’opera “Oggetti Urbani” evoca subito una riflessione sul rapporto tra l’individuo e la città, tra la materialità del quotidiano e la loro trasfigurazione simbolica.
Gli
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L’opera “Oggetti Urbani” evoca subito una riflessione sul rapporto tra l’individuo e la città, tra la materialità del quotidiano e la loro trasfigurazione simbolica.
Gli oggetti scelti, seppur apparentemente marginali, banali o “trovati”, diventano in quest’opera metafore del vivere contemporaneo, in cui l’urbano non è soltanto lo spazio fisico della città, ma un atteggiamento culturale che ingloba, rielabora e ridefinisce qualsiasi cosa con cui entra in contatto.
Ogni oggetto ha una forte carica simbolica.
Il rastrello da mare per bambini, un oggetto ludico, legato al gioco e alla dimensione vacanziera, in città si trasforma in frammento dissonante e, nell’opera diventa metafora di un’infanzia dispersa tra cemento e asfalto, o di una nostalgia che resiste nel cuore dell’esperienza urbana.
Il legno di mare dipinto, frammento naturale che porta con sé tracce del mare, ma alterato e ricolorato: simbolo del processo di urbanizzazione che riveste la natura con strati artificiali. Diventa un “residuo addomesticato”, un legno che non è più natura né oggetto, ma memoria trasformata della relazione tra l’uomo e l’ambiente.
Le piccole forbici da cucito (da kit d’albergo) funzionali, portatili, quasi invisibili sono strumenti che incarnano la logica del consumo e della provvisorietà urbana. Usate per piccole riparazioni d’emergenza, rappresentano la logica metropolitana del “rapido aggiustamento”, della vita frammentata da mille micro-esigenze.
Insieme, questi tre elementi, gioco, natura, riparazione, diventano “oggetti urbani” non perché nascano in città, ma perché la città li assimila, li ricodifica e li costringe in un nuovo contesto.
L’opera sottolinea come l’urbano non sia solo un ambiente, ma un meccanismo di appropriazione simbolica: qualunque cosa, anche la più lontana (un legno del mare, un giocattolo da spiaggia, un kit d’hotel), può essere inglobata nell’immaginario urbano e diventare parte del suo linguaggio visivo.
Oggetti minimi, capaci di raccontare una storia: dall’organico all’artificiale; dall’uso pratico alla valenza simbolica.
In questo senso “Oggetti Urbani” diventa quasi un ossimoro: ciò che non è urbano si trasforma in urbano proprio attraverso il gesto artistico, che lo sottrae alla sua funzione originaria e lo fa parlare di una condizione esistenziale comune a chi vive la città.
Marco Angelini
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Vistula (2019), tecnica mista su tela, 40×40 cm, nasce dal mio sguardo dal ponte che collega il quartiere Praga al centro di Varsavia. L’opera cattura la tensione tra due anime della città: da un lato
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Vistula (2019), tecnica mista su tela, 40x40 cm, nasce dal mio sguardo dal ponte che collega il quartiere Praga al centro di Varsavia. L’opera cattura la tensione tra due anime della città: da un lato il fiume, elemento naturale e storico, dall’altro la skyline dei grattacieli che si stagliano in lontananza, segni del dinamismo urbano e della modernità.
Questa dialettica viene tradotta in pittura attraverso vecchie spine elettriche assemblate sulla superficie della tela che costruiscono i profili verticali dell’architettura contemporanea. Il gesto assume un valore simbolico: la città si rivela come intreccio di energia e memoria, in cui il riuso di oggetti obsoleti restituisce vita e forma a un paesaggio in continua trasformazione.
La dimensione contenuta del formato (40x40 cm) accentua l’effetto di condensazione: Varsavia appare come un microcosmo sospeso tra passato e futuro, tra il flusso lento del fiume e l’irrequietezza delle sue strutture verticali. Vistula diventa così non solo una veduta urbana astratta, ma una riflessione sulla modernità fragile e sull’energia vitale che attraversa la città.
Marco Angelini
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Ho scelto un titolo per ciascuna delle nove opere (cm 40×40), pensate come piccole narrazioni visive che raccontano storie di forme di vita: animali colti nel loro movimento, paesaggi che sembrano provenire da una dimensione onirica,
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Ho scelto un titolo per ciascuna delle nove opere (cm 40x40), pensate come piccole narrazioni visive che raccontano storie di forme di vita: animali colti nel loro movimento, paesaggi che sembrano provenire da una dimensione onirica, figure antropomorfe che si dissolvono o si trasformano in qualcos’altro.
I nove lavori – Orizzonte instabile, Forma in fuga, Animale di luce, Percezione del corpo, Figura liquida, Organismo in mutazione, Paesaggio che respira, Eco in metamorfosi, Dimensione del sogno – trovano posto all’interno della più ampia serie “Visioni”, che raccoglie opere dello stesso formato (cm 40x40), come tasselli di un atlante poetico e cromatico in continua espansione.
Ogni titolo funziona come una soglia d’accesso, un invito a entrare in mondi che oscillano tra immaginazione e memoria, natura e visione interiore. Le opere si presentano come variazioni sul tema della trasformazione: corpi che cambiano, paesaggi che respirano, immagini che si sciolgono e si ricompongono in nuove forme.
Alcune chiavi di lettura si rivelano centrali per avvicinarsi a questo percorso: alterità, metamorfosi, vibrazione, paesaggi mentali, atlante cromatico, pluralità del reale. Concetti che orientano lo sguardo, ma che non vogliono chiudere il senso; al contrario, aprono a molteplici interpretazioni, permettendo a ciascun osservatore di ritrovare nelle opere riflessi della propria esperienza interiore.
Marco Angelini
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